giovedì 17 luglio 2008

Alla conquista della germania!!!

Ecco il nostro paladino! Appena tornato dall missione in Francia che già è in partenza per un'altra avventura!


Dati della missione:
-localizzazione: Stoccarda
-nome in codice: Behnisch "da dietro"
-bond girl: Miss V. (special guest)

....che altro dire......in bocca al lupo "agente"!


sabato 12 luglio 2008

Perché sogniamo di volare?

Probabilmente chiunque può provare a dare una risposta a questa domanda, ma forse pochi sono in grado di elaborarne una capace di fondarsi su degli assunti teorici tali da renderla scientifica. Tra questi c’è sicuramente Sigmund Freud. Nell’ultima lettura in cui mi sono imbattuto, “Un ricordo di infanzia di Leonardo da Vinci”, Sigmundo analizza gli elementi storici relativi alla vita del grande arista e, tra le altre cose, individua in lui un desiderio che lo ha accompagnato per tutta la vita: il desiderio di volare.
Ovviamente non oso provare a spiegare e sintetizzare con parole mie il contenuto, già con la traduzione forse si è perso qualcosa. Senza indugiare oltre, riporto sotto la pagina originale del testo.

Dato che ho detto che chiunque può provare a dare una risposta alla domanda del titolo, provo dunque a cimentarmi nel compito. Volare, volare, volare… significa superare le leggi della natura, oltrepassare le capacità fisiche dell’uomo, il quale vede degli esseri viventi che in qualche modo riescono a librarsi in aria vincendo la forza di gravità, ma subito però si accorge che gli manca qualcosa: le ali. Già Icaro con le ali di cera ha provato a volare, e se avesse scelto un giorno nuvoloso magari oggi non ci muoveremmo tra i continenti con gli aeroplani ma con le ali di cera, pensate. “Volare…oh, oh, Cantare……nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù…”, forse un po’ siamo influenzati da stornelli del genere che ci inculcano la connessione tra volo e felicità.
A parte miti, leggende e canzoni, la mia visione del desiderio di volare è un po’ lontana da quella dello stimato precursore della psicoanalisi. Volare è a mio avviso l’idealizzazione di molte cose auspicabili. Se voli sei libero, libero di andare in tutte le direzioni, dunque quella possibilità materiale di voltare a destra, a sinistra e così via è in grado di rappresentare la libertà di un uomo; quando qualcuno ci vuole rinchiudere ci crea innanzitutto un recinto che ci impedisce di muoverci in orizzontale, ma da questo potremmo fuggire se sapessimo volare. Poter volare significa essere riusciti a sconvolgere la nostra natura di esseri umani, quindi sentirsi capaci di sopraffare, o giocare con quelle leggi della natura che ci fanno sentire poca cosa di fronte all’immensità dell’universo. Volare vuol dire provare sensazioni uniche, sentirsi felici, leggeri, liberi da pesi che ci opprimono, capaci di spostarsi senza velocemente e senza troppa fatica. Volare può essere inteso come la possibilità di vedere tutto da lontano, estraneandosi da problemi e situazioni sgradite.
Dunque, per quanto io ammiri il caro Freudundo e la sua brillante visione del desiderio di volare, pur senza aver fatto ricerche attente come le sue sulla psiche e su Leonardo, mi attengo all’idea che il grande maestro volesse volare o essere un uccello in quanto aveva una forte sensibilità che lo portava a desiderare emozioni uniche, era amante della natura, ossessionato dalla ricerca e dalla conoscenza, e quale era una delle più grandi sfide per un uomo di scienza del Quindicesimo secolo? Il volo.


Note allegre. Mi vien da dire: Il desiderio di volare significa voler fare sesso? No Sigmund, non può essere, figurati se ci dobbiamo mettere a fare sesso in volo…… ma se neanche gli uccelli scopano in volo, perché dovremmo farlo noi? Permettetemi anche questa: saper volare oggi mi farebbe risparmiare un sacco di benzina! E forse anche di tempo.
Mentre ringrazio Erminio per il suo parere, avviso chiunque altro sia capitato sfortunatamente qui a lasciare comunque un gradito messaggio.

M.P.

martedì 8 luglio 2008

Meditazione ed Espressione ci fanno capire chi siamo, o sono essi stessi a renderci qualcosa?

Sulla scia delle osservazioni di Erminio mi avvio al prosieguo della riflessione.
Il mio stato di parziale e temporanea immobilità mi lascia dei vuoti di tempo e di vita che quotidianamente devo colmare. Dunque, mi do alla meditazione e alle arti espressive.
Quindi scrivo cose per le quali i miei stessi amici, tra cui tu, mi considerano un folle. Leggo testi improbabili come “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci” di S. Freud. Suono e cerco di creare qualcosa di mio con i vari strumenti che mi ritrovo per casa, e per i quali mi sono sempre lamentato di avere avuto, finora, poco tempo. Mi esercito con la lingua inglese parlando da solo e facendo quegli esercizi che da piccolo o adolescente non avevo voglia di fare per la tanta foga di giocare.
Le carenze da colmare sono talmente tante che la mia mente sembra un formicaio, brulica di idee e stratagemmi creativi per i quali però mostro una evidente incapacità nel concretizzarli. Forse è questa una fondamentale caratteristica dei “geni tormentati” che hai citato tu, cioè quella capacità di tradurre il pensiero in opere immortali. Sia o non sia, mi pongo ben lontano da questi, ma non posso non pensare che spesso ci si è accorti dell’importanza di un’opera molto dopo la sua creazione, più volte un’opera è nata realmente non nell’atto della sua creazione, ma successivamente, nel momento in cui una o più persone gli hanno attribuito o ne hanno estrapolato il (o un) significato. Dunque, ritengo che l’essere comune mortale, è temporaneo e relativo, poiché finché c’è o ci sarà un briciolo della nostra esistenza o creazione in qualcosa di materiale o nella mente di qualcuno, allora la nostra opera più o meno inabissata perdura, potendo magari un giorno essere riscoperta e riconsiderata.
Aleggia nella mia mente l’idea che l’occasione renda l’uomo genio, certo poi ci vuole l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto, poiché se ad esempio l’uomo è giusto ma siamo nel momento sbagliato e il posto è giusto ma non per lui, allora il genio non ha occasione di rilevarsi. Inoltre, alcune letture, come quella sopra citata di Freud su Leonardo, mi hanno fatto pensare che certi “geni” per quanto potessero avere delle spiccate capacità, fossero degli esseri umani i cui caratteri psichici possono essere ricondotti ad avvenimenti accadutigli nel corso della loro vita. Possono quindi essere analizzati, studiati, arrivando a rendersi conto dell’umanità del genio e delle sue spiccate capacità.
L’uomo, sia esso chiamato genio o meno, è influenzato, a mio avviso, da due tipi di fattori, quelli intrinseci e quelli estrinseci. Sono intrinseci quelli che definiscono l’individuo, di cui possono essere presi come rappresentativi il DNA e la capacità di pensiero. Sono estrinseci, invece, tutti i fattori esterni all’individuo e che si relazionano con esso. L’uomo può essere considerato come la combinazione di tutti quei fattori. Ognuno di noi è il risultato dell’amalgamazione, della rielaborazione di tutti quegli elementi. Ognuno di noi ogni istante evolve influenzato da tutti quegli elementi.
Prendendo per vera questa visione delle cose, viene naturale chiedersi quale sia la combinazione migliore, sempre se ve ne è una. È forse auspicabile che prevalgano i fattori intrinseci nella determinazione del “chi siamo” o è preferibile farsi plasmare a forma e misura delle implicazioni esterne.
Dato il livello d’astrazione del discorso probabilmente si potrebbe continuare a fare supposizioni a destra e a manca. Meglio fermarsi ora, prima che troppe “sparate” diminuiscano l’attendibilità o la logicità del discorso.

Con la ferma convinzione dell’importanza della creazione di schemi esemplificativi della realtà (sia per diletto, che per la comprensione delle cose) concludo ringraziando tutti coloro che diranno la loro. Quindi ringrazio Claudio (in arte erminio), che probabilmente sarà l’unico a tenere viva la discussione.

M.P.

domenica 6 luglio 2008

L’impulso ossessivo verso l’acquisizione di nuove conoscenze e verso l’applicazione in più arti espressive

Le ultime vicende accadute a me medesimo (scusate se scrivo in maniera un po’ arcaica ma le mie ultime letture non sono fresche d’oggi ma di uno ieri lontano, per quanto un secolo possa esser tanto in termini letterari), hanno sconvolto i miei ritmi di vita e la percezione del mondo che mi circonda. Già, perché tutto si muove in maniera diversa quanto ti inoltri in uno stato di meditazione. Nonostante si riescano a notare più dettagli, molte cose paiono andare più lente (perlomeno oggi ho questa impressione). Così, le rondini sembra volino a rallentatore, tanto da farti pensare che la forza di gravità sia scesa sotto i 9, mentre le formiche sono talmente ferme che non mi scomodo nemmeno a chiudere la portafinestra, tanto per quando arrivano lì ho fatto in tempo a finire il libro e ad abbronzarmi. Persino il mio cuore non sento più battere, a momenti, devo portar la mano al petto ed attendere, …..attendere finché debolmente non si avverte un ravvicinato, ma non troppo, doppio tonfo: tu…..tu. Anche se l’ossigeno di cui ho bisogno ora è poco, ogni tanto controllo giusto per aver la certezza d’esser vivo (non adoro darmi pizzicotti e poi il controllo del battito cardiaco è un gesto più elegante e raffinato che forse apprezzerebbe anche Saffo).
Ciò che mi colpisce è come questa meditazione, che rallenta la percezione del mondo al pari di una droga leggera, sia sfociata in un impulso ossessivo verso l’acquisizione di nuove conoscenze e verso l’applicazione in più arti espressive.
Forse, è proprio nella volontà di espressione di un Io più cosciente e nell’aspirazione ad una meditazione più profonda, che si può trovare una motivazione forte ad un tale atteggiamento. Se così è, allora si può dire con certezza che l’individuo è in un auspicabile percorso di maturazione, evoluzione, il quale è per sua natura gradito. Al di là di questo, però, nulla vi è di certo trattando di cosa abbia spinto l’individuo a comportasi in tal modo. Si possono supporre disparatamente più motivi scatenanti, a volte ve n’è uno prominente, altre volte il risultato è nella combinazione. Tra questi si possono individuare due principali categorie: carenze o eccessi di percezione sensoriale, lo stato d’animo. Per quanto riguarda la prima, determinate carenze di percezione sensoriale dovute a stati di immobilità, o eccessi di queste causate da una abbondante “vita”, possono comportare una istintiva ricerca di compensazione di tali carenze o nausee. Relativamente alla seconda categoria, stati d’animo particolarmente accentuati tendono a dare forti spinte alla meditazione e alla espressione dei sentimenti provati. Secondo illustri personaggi (qualcuno lo avrà pur detto, altrimenti lo penso solo io), sono gli stati d’animo impropriamente detti “spiacevoli” a spingere verso l’applicazione in forme d’arte, mentre quelli ritenuti “piacevoli” sono più inclini ad esprimersi in forme più istintive e fugaci.
Dunque i motivi suddetti spingono verso nuove conoscenze e modi di espressione, cioè alla ricerca di una “pienezza interiore”. Tale ricerca può essere lucida, razionale e cosciente oppure caotica, precipitosa e dispersiva di energie; la propensione all’una o all’altra non può che dipendere dal livello di percezione sensoriale dal quale si proviene o dallo stato d’animo quieto o instabile di chi aspira all’illuminazione.
Sulla base delle osservazioni fatte finora possiamo trarre delle conclusioni, le quali potrebbero certamente essere definite avventate, superficiali, senza basi scientifiche; d’altronde però, cosa può essere definito scientifico e valido in assoluto, quando si parla di percezione sensoriale, stati d’animo, pienezza interiore e quant’altro? Quindi concludiamo che un individuo, in relazione a fattori (materiali o stratti) intrinseci (interni all’individuo stesso) ed estrinseci (esterni), possiede un determinato stato, il quale può essere indicativamente rappresentato dal livello di percezione sensoriale e/o dallo stato d’animo. Questi determinano i comportamenti dell’individuo, compreso l’impulso ossessivo verso l’acquisizione di nuove conoscenze e verso l’applicazione in più arti espressive.
M.P.

Vorrei ringraziare quanti di voi siano arrivati a leggere fin qui, un grazie di cuore! Spero che non vi abbia fatto perdere troppo tempo; tempo che avreste potuto impiegare per acquisire nuove conoscenze e per applicarvi in qualche arte espressiva. Mi auguro che diciate la vostra sul tema.
Un grazie anche a tutti coloro che vedendo il sole all'esterno non hanno saputo resistere 2 minuti davanti al pc e sono corsi al mare dopo aver appena letto il titolo. Non fa niente, non c'è fretta, avrete occasione di leggerlo prima o poi.
Un particolare ringraziamento va, invece, a quei geni che, non avendo tempo o voglia di leggere, ma volendo cmq sapere di cosa si trattasse, hanno letto le prime 3 righe e queste stupidissime ultime 10. anche a voi va l'invito a lasciare un commento, anche solo del tipo: "ciao, sono pincopallino e....", concordo, concordo parzialmente, plausibile, non plausibile, assolutamente inconcepibile, ecc...